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Cèllula fotoelèttrica.

Apparecchio essenzialmente costituito da una lamina metallica ricoperta di selenio o di metalli alcalini, che, investita dalla luce, determina una debolissima corrente elettrica registrata su un microamperometro opportunamente tarato a seconda degli impieghi cui la c.f. è destinata. La comune c.f., ausiliaria della fotografia, ha un microamperometro con le indicazioni dei tempi di posa o altre indicazioni convenzionali che consentono all'operatore di effettuare il calcolo relativo al giusto tempo di posa con un determinato tempo, obbiettivo, pellicola e colorazione del soggetto da fotografare; normalmente la c.f. per fotografia ha inserita nel circuito cellula-amperometro una resistenza che elimina le brusche variazioni dell'ago del microamperometro, mediante temporaneo assorbimento di una parte della corrente elettrica generata dalla cellula. In altri tipi di c.f. questa attiva istantaneamente e automaticamente vari dispositivi: antifurto, antinfortunistici (arresto automatico di macchine qualora l'uomo che vi è addetto introduca mani o piedi in organi in movimento, fuori tempo), industriali, ecc. In questi tipi di c.f. esiste già una tensione nella placca sensibilizzata e la funzione dell'apparecchio si riduce ad amplificare la variazione di intensità determinata da variazioni di luce. Nelle cellule destinate ad essere impiegate nella sonorizzazione di un film durante la proiezione, la luce di una lampada d'eccitazione costante investe la lamina fotosensibile, alimentata da una corrente o tensione di placca, dopo essere passata attraverso quella parte di pellicola che reca la colonna sonora, determinando in tal modo una continua variazione nella tensione della c.f. che opportunamente amplificata passa agli altoparlanti disposti sullo schermo.